(A Tina)
Los dos hombres fuman en la orilla. La mujer que nada,
sin romper el agua, no ve más que el verde
de su breve horizonte. Entre el cielo y las plantas
se extiende esta agua, que la mujer recorre,
sin cuerpo. En el cielo se posan nubes,
como inmóviles. El humo se detiene a medio aire.
Bajo el hielo del agua está la hierba. La mujer
la recorre suspendida, pero nosotros la aplastamos,
a la hierba verde, con el cuerpo. No hay a lo largo del agua
otro peso. Nosotros solos sentimos la tierra.
Quizá el cuerpo alargado de ella, sumergido,
siente el ávido hielo absorberle el sopor
de los miembros soleados y derretirla viva
en el verde inmóvil. Su cabeza no se mueve.
Ella estaba tendida también, allí la hierba está doblada.
Su rostro entornado posaba sobre el brazo
y miraba la hierba. Ninguno decía una palabra.
Se estanca aún en el aire aquel primer chapoteo
que la recibió en el agua. Sobre nosotros se estanca el humo.
Ahora, ha llegado a la otra orilla y nos habla, goteante
su cuerpo atezado que surge entre los troncos.
Su voz es el único sonido que se oye sobre el agua
-ronca y fresca, es la misma voz de antes.
Pensamos, tendidos
sobre la orilla, en ese verde más hondo y más fresco
que sumergió su cuerpo. Después, uno de nosotros
se tira al agua y cruza, descubriendo los hombros
en brazadas espumosas, el verde inmóvil.
[1934]
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, Italia, 1908 - Turín, Italia, 1950), "Trabajar cansa", Poesía completa, Barnacle, Buenos Aires, 2024
Paesaggio IV
I due uomini fumano a riva. La donna che nuota
senza rompere l'acqua, non vede che il verde
del suo breve orizzonte. Tra il cielo e le piante
se distende quest'acqua e la donna vi scorre
senza corpo. Nel cielo si posano nuvole
come immobili. Il fumo si ferma a mezz'aria.
Sotto il gelo dell'acqua c'è l'erba. La donna
vi trascorre sospesa; ma noi la schiacciamo,
l'erba verde, col corpo. Non c'è lungo le acque
altro peso. Noi soli sentiamo la terra.
Forse il corpo allungato de lei, che è sommerso,
sente l'avido gelo assorbirle il torpore
delle membra assolate e discioglierla viva
nell'immobile verde. Il suo capo non muove.
Era stesa anche lei, dove l'erba è piegata.
Il suo volto socchiuso posava sul braccio
e guardava nell'erba. Nessuno fiatava.
Stagna ancora nell'aria quel primo sciacquío
che l'ha accolta nell'acqua. Su noi stagna il fiumo.
Ora è giunta alla riva e ci parla, stillante
nel suo corpo annerito que sorge fra i tronchi.
La sua voce è ben l'unico suono che si ode sull'acqua
-rauca e fresca, è la voce di prima.
Pensiamo, distesi
sulla riva, a quel verde più cupo e più fresco
che ha sommerso il suo corpo. Poi, uno di noi
piomba in acqua e traversa, scoprendo le spalle
in bracciate schiumose, l'immobile verde.
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, Italia, 1908 - Turín, Italia, 1950), "Trabajar cansa", Poesía completa, Barnacle, Buenos Aires, 2024
Versión de Jorge Aulicino
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Paesaggio IV
I due uomini fumano a riva. La donna che nuota
senza rompere l'acqua, non vede che il verde
del suo breve orizzonte. Tra il cielo e le piante
se distende quest'acqua e la donna vi scorre
senza corpo. Nel cielo si posano nuvole
come immobili. Il fumo si ferma a mezz'aria.
Sotto il gelo dell'acqua c'è l'erba. La donna
vi trascorre sospesa; ma noi la schiacciamo,
l'erba verde, col corpo. Non c'è lungo le acque
altro peso. Noi soli sentiamo la terra.
Forse il corpo allungato de lei, che è sommerso,
sente l'avido gelo assorbirle il torpore
delle membra assolate e discioglierla viva
nell'immobile verde. Il suo capo non muove.
Era stesa anche lei, dove l'erba è piegata.
Il suo volto socchiuso posava sul braccio
e guardava nell'erba. Nessuno fiatava.
Stagna ancora nell'aria quel primo sciacquío
che l'ha accolta nell'acqua. Su noi stagna il fiumo.
Ora è giunta alla riva e ci parla, stillante
nel suo corpo annerito que sorge fra i tronchi.
La sua voce è ben l'unico suono che si ode sull'acqua
-rauca e fresca, è la voce di prima.
Pensiamo, distesi
sulla riva, a quel verde più cupo e più fresco
che ha sommerso il suo corpo. Poi, uno di noi
piomba in acqua e traversa, scoprendo le spalle
in bracciate schiumose, l'immobile verde.
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Ilustración: Cesare Pavese por Tullio Pericoli, 1990
"...Jorge Aulicino traduce con maestría y consición ese mundo acre y solitario de hechos, objetos y situaciones concretamente humanas que son los motivos recurrentes en la obra del autor y logra acercar a quien leyese, una tierra distinta, de dimensión épica, donde se apaga de un soplo la luz a medida que transcurren las páginas..."
ResponderBorrar"Palabras no, un gesto", reclamaba Pavese (antes para sí que para el prójimo), sin intentar convencer a nadie, procurando incluirse afuera."
Del prólogo de Alberto Cisnero de Editorial Barnacle.
Gracias por ofrecerlo. Alfredo Lemon desde Córdoba